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La medicina del futuro tra convenzione e tradizione. Il dialogo tra le università e i ponti da costruire tra Occidente e Oriente
La partecipazione del professor Ciro Isidoro (DISS) alla cerimonia inaugurale del nuovo anno accademico della National Yang Ming Chiao Tung University, a Taipei agli inizi di agosto, è stato lo stimolo per gettare uno sguardo diverso sulla nostra medicina e sul concetto stesso di cura. Il risultato è che Oriente e Occidente hanno ancora molto da insegnarsi a vicenda.
Autore Ciro Isidoro
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Il 1° agosto 2024 si è tenuta nella città di Taipei, a Taiwan, la cerimonia di inaugurazione del nuovo anno accademico della National Yang Ming Chiao Tung University (NYCU), ateneo che recita un ruolo di punta tra quelli della Repubblica di Cina e che i ranking internazionali collocano nella Top 200 delle migliori università nel mondo.
La cerimonia, occasione propizia anche per presentare il nuovo corso di laurea in Medicina tradizionale cinese, è stata seguita a Taipei anche dal professor Ciro Isidoro – ordinario di Patologia generale e Patologia clinica del Dipartimento di Scienze della salute dell’Università del Piemonte Orientale – ospite in qualità di esperto e invitato a tenere una lezione magistrale a margine della cerimonia dal titolo “TransResveratrol induces cancer cell dormancy through epigenetic modulation of Autophagy”.
Il programma della visita del professor Isidoro ha compreso una tappa al Museo storico e alla Farmacia di Medicina tradizionale cinese, in cui il Docente ha discusso con i professori Yi-Tsau Huang (già Direttore generale del Department of Traditional Chinese Medicine and Pharmacy al Ministero della Salute e del Benessere di Taiwan), Chi-Hung Li (Rettore e Presidente della National Yang Ming Chao Tung University, NYCU) e con la professoressa Fang-Pey Chen (direttrice del Department of Traditional Chinese Medicine), circa la possibilità di una collaborazione tra le due Università per consentire uno scambio di docenti e studenti interessati ad approfondire i principi diagnostici e terapeutici della medicina cinese e come questi possano integrarsi con la medicina occidentale.
Abbiamo raggiunto il professor Isidoro per chiedergli quale sia il processo di sviluppo della ricerca in ambito oncologico in quei paesi e come potrebbero trasformarsi i rapporti tra l’UPO e l’Estremo Oriente.
Professor Isidoro, l’UPO ha stretto negli scorsi anni diversi accordi con realtà accademiche cinesi e di altri paesi orientali anche nel campo della medicina. Come differiscono le loro pratiche o filosofie terapeutiche rispetto a quelle occidentali?
La mia esperienza al riguardo è limitata a quanto negli ultimi anni ho potuto vedere e discutere con i colleghi di istituti di ricerca e cura in Cina, Taiwan, Korea del Sud e Thailandia.
Generalizzando, e con i dovuti distinguo, nei paesi orientali si è più preoccupati delle malattie infettive (più diffuse a cause della scarsità di pratiche di igiene pubblica e personale) che non del cancro. Detto in poche parole, è più probabile morire per una malattia infettiva che non giungere alla vecchiaia in cui può comparire un cancro. Il cancro, quindi, è spesso visto come una “conseguenza inevitabile associata all’invecchiamento”, e ciò porta a trascurare i fattori che ne sono causa e a cui sono esposti nel corso della vita. Per esempio, il colangiocarcinoma è tra i tumori più diffusi nelle aree rurali che costeggiano la costa o i fiumi; esso è provocato dalla infestione cronicizzata di un verme piatto la cui larva viene ingerita con il pesce crudo. Pur conoscendone la causa, si fatica a convincere i genitori a non fare mangiare ai bambini il pesce crudo pescato in acque contaminate, essendo questo un tipico piatto tradizionale. Nelle grandi città le tradizioni diventano sempre meno forti, soprattutto con le nuove generazioni, e anche la percezione della malattia cancro e di come trattarla è diversa rispetto a chi vive in periferia e nelle campagne.
Il cancro è spesso visto dagli orientali come una “conseguenza inevitabile associata all’invecchiamento”; ciò porta molte persone a trascurare i fattori che ne sono causa e a cui sono esposti nel corso della loro vita.
Come viene percepita la medicina oncologica nei paesi orientali e quali sono le differenze culturali nel modo in cui i pazienti affrontano la diagnosi e il trattamento del cancro?
Dal punto di vista culturale, soprattutto nelle zone rurali il paziente si affida unicamente alle cure della medicina tradizionale mentre chi vive nelle grandi città preferisce affidarsi alla medicina convenzionale, cosiddetta “occidentale”. La differenza tra i due sistemi, sia nella diagnosi sia nella cura, è fondamentalmente riconducibile al fatto che la medicina convenzionale (occidentale) basa la diagnosi soprattutto sul supporto e conforto della tecnologia con esami strumentali di imaging (la radiodiagnostica) e di laboratorio (biomarcatori), mentre la medicina tradizionale (cinese, koreana, tailandese, indiana) si affida quasi esclusivamente ai sintomi riferiti dal paziente e a segni presenti e rilevabili sul corpo (corrispondente alla nostra semeiotica). Ciò si riflette anche nell’approccio terapeutico, in cui nel primo caso prevale una terapia a bersaglio molecolare (la cosiddetta medicina di precisione) mentre nel secondo caso l’attenzione è centrata sul paziente e su come risponde al trattamento (diciamo prosaicamente più vicina alla visione ippocratica).
La medicina tradizionale ha un approccio “olistico” perché non scende nel dettaglio molecolare ma interpreta i fenomeni che accadono nel paziente nel loro insieme.
Grazie all’uso delle biotecnologie, la medicina convenzionale è diventata sempre più affinata nell’individuare la causa e il meccanismo di malattia e questo la rende sempre più riduzionistica, mentre la medicina tradizionale ha un approccio cosiddetto “olistico” perché non scende nel dettaglio molecolare ma osserva e interpreta i fenomeni che accadono nel paziente nel loro insieme.
Un processo, dunque, non esclude a priori l’altro…
Come è facile intuire, vi sono vantaggi e limiti in entrambe le modalità di cura. Si tende sempre più a prendere il meglio di entrambi gli approcci in una visione integrata per una diagnosi (e prognosi) di precisione e una cura più personalizzata e soprattutto “umanizzata” che tenga conto del malato più ancora che della malattia.
Il cancro è una malattia complessa che non compromette solo l’organo in cui si sviluppa; il paziente, infatti, non sperimenta solo il “disturbo” localizzato poiché anche la sua sfera emotiva-comportamentale viene ad essere perturbata. Ecco che allora limitare il cosiddetto “accanimento diagnostico e terapeutico”, per esempio evitando di ripetere test diagnostici ravvicinati o di somministrare farmaci con effetti collaterali non più sopportabili dal paziente e introdurre invece il supporto psicologico, toglie quel carico emotivo di stress e ansia che aiuta il paziente a gestire meglio la malattia. Come ho detto, la medicina tradizionale (rimasta molto ippocratica, in questo senso) pone molta attenzione all’evoluzione della malattia osservandone gli effetti sul malato, mentre nella medicina convenzionale (sempre più ipertecnologica) questi aspetti sono spesso trascurati o considerati come cure palliative soltanto nella fase terminale. L’auspicio è un incontro e una fusione tra questi due approcci nella cura del paziente oncologico.
Esistono approcci innovativi alla ricerca clinica o traslazionale che ha trovato particolarmente stimolanti?
Le terapie della medicina tradizionale sono certamente meno aggressive, e perciò anche più sopportabili, ma allo stesso tempo meno efficaci nel trattamento acuto. L’impiego di queste terapie, quindi, può avere efficacia sia nella prevenzione sia nella cura di malattie croniche. Il loro uso però deve basarsi sulla dimostrazione di efficacia e sicurezza tenuto conto di standard oggettivamente misurabili.
Nel mio laboratorio utilizziamo le tecnologie molecolari per dimostrare l’efficacia terapeutica e il meccanismo d’azione di estratti naturali con proprietà cosiddette nutraceutiche.
Nella mia posizione privilegiata di docente e soprattutto di Editor in Chief del Journal of Traditional and Complementary Medicine, ho notato, negli ultimi anni, il tentativo di voler dare basi scientifiche alla medicina tradizionale. Sono sempre più numerosi gli studi che utilizzano le biotecnologie molecolari (cosiddette omiche) e le tecnologie di imaging per dimostrare l’efficacia di trattamenti secondo la medicina tradizionale che fa uso di agopuntura o di erbe medicinali, utilizzando sia modelli animali sia pazienti. Nel mio laboratorio utilizziamo le tecnologie molecolari per dimostrare l’efficacia terapeutica e il meccanismo d’azione di estratti naturali con proprietà cosiddette nutraceutiche come, per esempio, il resveratrolo e la curcuma, ingredienti ampiamente utilizzati nella medicina cinese, giapponese, indiana e tailandese. Ma anche l’elettro-agopuntura oggi può avvalersi della elettrofisiologia per convalidarne il meccanismo d’azione e dare quindi presupposti scientifici al suo impiego.
Università significa soprattutto condivisione del sapere con la comunità scientifica internazionale. Dal punto di vista didattico ci sono molte differenze nell’insegnamento della medicina?
La Medicina tradizionale cinese poggia su basi e presupposti molto diversi dalla nostra medicina, a cominciare dalla diversa funzione attribuita agli organi e dal concetto di “energia vitale” la cui perturbazione sarebbe causa di malessere. Diciamo che nell’insegnamento della medicina cinese prevale l’approccio “filosofico” rispetto a quello anatomico puro, e men che meno rispetto a quello tecnologico.
Ritengo che uno scambio di esperienze e il dialogo tra docenti e discenti dei due sistemi educativi possa solo giovare alla formazione del medico, perché consente di assimilare il meglio di entrambi i sistemi scegliendo poi di volta in volta l’approccio più idoneo per la cura del paziente. Insomma, una vera cura personalizzata del paziente non può essere ingabbiata in protocolli standard, ma deve potersi adattare all’evoluzione della malattia nel paziente.
A questo riguardo, ho appreso con piacere che il SISM (Segretariato Italiano Studenti di Medicina) ha fatto accordi con le Università orientali per uno scambio di studenti che vogliano apprendere anche i principi della medicina tradizionale cinese. Una nostra studentessa del corso di laurea in Medicina e chirurgia UPO trascorrerà quattro settimane presso un ateneo di Taiwan dove potrà vedere l’applicazione pratica di questi metodi di diagnosi e cura sui pazienti. Sono certo che tornerà molto arricchita da questa esperienza, sia sul piano formativo sia su quello umano. A nostra volta, abbiamo ospitato studenti della Facoltà di Medicina della Mahidol University di Bangkok interessati ad apprendere il metodo scientifico nella ricerca. L’auspicio è che si formalizzino altri accordi di scambio didattico tra la nostra Università e quelle cinesi, taiwanesi e tailandesi per offrire opportunità di crescita ai nostri studenti futuri medici.
Ultima modifica 27 Agosto 2024
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