Main content
Argomento
Sostenibilità

Alcune cose che COP28 ci ha detto sul mondo (e sull’università) che cambia

Carmen Aina insegna Politica economica al Dipartimento per lo sviluppo sostenibile e la transizione ecologica dell’UPO. Da alcuni mesi presiede la sottorete per il Piemonte della RUS, la Rete delle Università per lo Sviluppo sostenibile, e nel dicembre 2023, insieme a delegati di altri atenei italiani, è volata a Dubai per intervenire a COP28, la ventottesima Conference of Parties mondiale annuale delle Nazioni Unite sull’azione per il clima. Le abbiamo chiesto come è andata.

Autore Carmen Aina

Data di pubblicazione

Futuro sostenibile
UPO alla COP28

credits © Pixabay/ChunliChen

Carmen Aina insegna Politica economica al Dipartimento per lo sviluppo sostenibile e la transizione ecologica dell’UPO. Fino al 2026 sarà presidente della sottorete per il Piemonte della RUS, la Rete delle Università per lo Sviluppo sostenibile, e nel dicembre del 2023, insieme a delegati di altri atenei italiani, ha preso parte a Dubai a COP28, la ventottesima Conference of Parties mondiale annuale delle Nazioni Unite sull’azione per il clima.

 

Intervista di Leonardo D’Amico

 

Professoressa Aina, tra i corsi che impartisce ce n’è uno, quello di “Cambiamenti climatici: politiche economiche e strategie per la sostenibilità”, che sembra tagliato su misura per stimolare le giovani generazioni a ragionare sui temi di COP28 e su un futuro alternativo. Secondo la sua esperienza è davvero così? Studentesse e studenti (universitari) sentono davvero questa urgenza di cambiamento e la possibilità di trasformarla in una professione?

Ho da poco concluso le lezioni di questo insegnamento e nonostante siano già trascorsi tre anni, ogni volta l’impatto con l’aula è un’esperienza arricchente. Durante la prima lezione sono solita chiedere agli studenti e alle studentesse di raccontarmi le motivazioni che li ha portati a iscriversi al corso di laurea in Gestione Ambientale e Sviluppo Sostenibile e le risposte sono sempre sorprendenti. Quello che noto è il desiderio di poter essere attori del cambiamento necessario per promuovere un modello di sviluppo sostenibile. Nei loro occhi si legge la consapevolezza di essere, da un lato, i principali destinatari delle esternalità negative dei cambiamenti climatici, ma, dall’altro, soprattutto di essere coloro che possono proporre soluzioni. Hanno la determinazione di chi ha compreso che, di fronte alle evidenze scientifiche, è necessario prepararsi per fornire il proprio contributo nel processo di transizione ecologica, superando un certo immobilismo. Nell’ultimo semestre il loro entusiasmo mi ha spinto, insieme al collega Enrico Ferrero – titolare del corso integrato Cambiamenti climatici del modulo Fisica del clima –, a supportarli nella partecipazione alla challenge #To25 BRAINstorm, un evento collaterale promosso nell’ambito delle Universiadi di Torino 2025, al fine di presentare proposte sulle varie sfide che siamo chiamati ad affrontare nell’ambito della sostenibilità, delle smart cities, dell’invecchiamento della popolazione, e così via. È stato bello confrontarsi con loro nella formulazione di idee e progetti, cercando di spronarli a identificare azioni concrete, che speriamo possano trovare un riscontro positivo durante le fasi successive di questa competizione. In generale, credo che questi giovani non solo potranno svolgere professioni “sostenibili”, ma lo riusciranno a fare con la giusta attenzione anche alle questioni sociali ed economiche, oltre che ambientali.

 

A Dubai, per la prima volta, quasi tutti i Paesi della Terra hanno detto (e scritto) che petrolio e gas influiscono sul riscaldamento globale e per la prima volta hanno concordato sulla necessità di un ritiro dei combustibili fossili. Come mai rispetto ai cambiamenti climatici c’è ancora così tanta resistenza malgrado i report scientifici lascino pochi dubbi?

Durante il Covid-19 la lezione che abbiamo appreso, o almeno avremmo dovuto, è che di fronte a una emergenza sanitaria sarebbe stato più semplice operare in presenza di una adeguata programmazione delle misure di intervento, in quanto prendere decisioni in un contesto di urgenza, generalmente, non consente di implementare le opzioni più efficaci. Analogamente, la stessa riflessione può essere estesa ai cambiamenti climatici, per i quali le poche azioni programmatiche concordate tra i vari Paesi stentano a divenire prassi consolidate e condivise da tutti.

 

Fotogallery
Cambiamenti climatici

Alluvione Cambiamenti climatici © Pixabay/Hans

Mentre la comunità scientifica, salvo rare eccezioni, ha una visione unanime sull’emergenza climatica, parte dell’opinione pubblica è indifferente al rischio di catastrofi ecologiche, nonostante esse siano sempre più frequenti. L’avversione alla pianificazione di azioni preventive è strettamente connessa al fenomeno noto come il “paradosso della prevenzione”. Gli interventi che portano ampi miglioramenti sulla salute della popolazione (ad esempio le vaccinazioni) non vengono percepiti immediatamente come tali dagli individui. Questo “paradosso” rende le persone riluttanti nell’accogliere la prevenzione, anche perché, in caso di successo delle misure adottate, gli effetti non sono visibili. I gas serra, per esempio, non si vedono, non si sentono e non vengono avvertiti come rischiosi per la salute. Diventa così difficile comunicare la necessità di ridurli e, a maggior ragione, convincere la collettività che occorre adottare interventi preventivi. 

Il tema dei cambiamenti climatici è sicuramente complesso e abbraccia diverse discipline, tuttavia farsi trovare impreparati, come è accaduto per l’emergenza sanitaria, non è più un’opzione plausibile perché le conseguenze potrebbero essere irreversibili. Occorre pertanto promuovere attività di sensibilizzazione e divulgazione dell’impatto dei cambiamenti climatici sull’ambiente, sull’economia e sulla società civile, in maniera chiara e accessibile a tutti, fornendo anche indicazioni delle azioni che a livello micro e macro si possono implementare per arginarli, in modo che chiunque possa sentire di poter contribuire.

citazione

L’avversione alla pianificazione di azioni preventive è strettamente connessa al fenomeno noto come il “paradosso della prevenzione”.

Il suo intervento a COP28 si è concentrato sul ruolo degli atenei nella promozione di modelli sostenibili. Quali sono state le impressioni dei partecipanti al panel e quanto è importante il dibattito che si sta sviluppando su questi temi in Italia?

Durante i vari interventi che si sono susseguiti durante il mio panel presso il Padiglione Italia, l’aspetto che ha suscitato un ampio e condiviso consenso nella platea è stato quello di constatare l’impegno degli Atenei italiani nel collaborare tra loro per favorire un modello di sviluppo sostenibile. Da tempo il sistema universitario, attraverso la rete delle Università per lo Sviluppo sostenibile (RUS), si coordina per la diffusione della cultura e delle buone pratiche di sostenibilità, sia all’interno sia all’esterno delle proprie istituzioni, così da contribuire al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda 2030. Proprio questa prima esperienza di cooperazione e condivisione è stata vista come un valido esempio da promuovere per superare le criticità esistenti nel perseguimento della transizione ecologica e le resistenze della collettività sul tema dei cambiamenti climatici.

Ed è proprio in questo spirito che, dopo aver presentato la recente creazione della sottorete RUS Piemonte per consolidare ancora di più le sinergie e le collaborazioni tra i vari attori nei territori regionali ed essere di supporto ai decisori locali di politica economica, sono nate opportunità di ampliare il network delle collaborazioni. Vi racconto un aneddoto. Tra le persone che ho incontrato vi è stata anche una laureata UPO nel lontano 1998, che attualmente lavora presso la sede romana dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), la quale è stata molto sorpresa di incontrare una relatrice proveniente proprio dallo stesso Ateneo. È stato bello confrontarsi con lei e condividere l’impegno di UPO nella ricerca, formazione e terza missione su questi temi e valutare collaborazioni per essere ancora più di impatto nel dibattito nazionale su queste tematiche. Credo che questa sia la chiave per dare maggiore credibilità e visibilità alle varie iniziative presenti sul territorio nazionale: fare rete e cooperare nella diffusione capillare di informazione scientifica sull’intera popolazione.

 

Stando ai dati di produzione dell’energia da fonti rinnovabili la transizione energetica è, di fatto, già iniziata. Tuttavia non è omogenea a livello globale e in questo modo può perdere di efficacia. L’opinione pubblica è tempestata dalla cronaca dei disastri ma l’aumento medio stimato della temperatura media globale di 1.5° previsto per questo secolo, forse, non fa più notizia. I governi stanno facendo abbastanza dal punto di vista delle politiche energetiche per correre ai ripari?

In tema di transizione ecologica, le politiche adottate dell’Unione Europea sono sicuramente quelle più coraggiose, dato l’impegno di rendere l’UE climaticamente neutra entro il 2050. La transizione verde costituisce infatti un passo obbligato in quanto nel 2022 il 75% delle emissioni di gas a effetto serra nell’UE è riconducibile alla produzione e all’uso di energia. In aggiunta, lo spostamento verso forme di energia rinnovabili contribuirà alla riduzione delle dipendenze energetiche dell’UE, le quali, come sperimentato durante il conflitto Russia-Ucraina, impattano poi soprattutto sulla sostenibilità economica e sociale.

Tra le misure principali l’UE ha implementato una serie di proposte volte a rivedere la legislazione in materia di clima, energia e trasporti, quali il Green Deal e il pacchetto “Fit for 55”, per ridurre entro il 2030 le emissioni di gas climalteranti del 55% rispetto al 1990. Inoltre sia il pacchetto per la ripresa NextGenerationEU che il nuovo piano REPowerEU (maggio 2022) stanno spingendo per un’accelerazione delle azioni e in parte al rialzo degli obiettivi. Proprio il REPowerEU mira a raggiungere l’efficienza energetica – riduzione del consumo energetico al 2030 dal 9% al 13% – e a portare l’uso di energia da fonti rinnovabili dal 40% al 45% entro il 2030.

citazione

La transizione verde costituisce infatti un passo obbligato in quanto nel 2022 il 75% delle emissioni di gas a effetto serra nell’UE è riconducibile alla produzione e all’uso di energia.

Anche l’Italia, attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), ha stanziato significative risorse per le missioni “rivoluzione verde e transizione ecologica”, “infrastrutture per una mobilità sostenibile” e “università e ricerca”. Forse un punto di debolezza a livello europeo, come mi è stato fatto notare da un amministratore delegato di una importante società del settore energetico alla COP28, è la carenza di un coordinamento per guidare i diversi paesi a effettuare delle scelte che siano non solo green, ma anche tra le varie alternative disponibili quelle che effettivamente garantiscano nel medio e lungo periodo le soluzioni più efficienti in base alle specificità del paese stesso. A livello mondiale è invece evidente che non vi è omogeneità da parte dei vari governi nel vincolarsi in politiche che portino alla neutralità climatica, ci sono tempistiche e livelli di impegno molto differenti, conseguenza di una mancanza di governance globale. Ed è proprio questo l’obiettivo delle COP, quello di superare le divergenze e dialogare per trovare degli accordi di responsabilità condivisa e con scadenze compatibili con l’urgenza di agire per contrastare i cambiamenti climatici.

Fotogallery
COP28 DubaiCOP28 DubaiCOP28 DubaiCOP28 DubaiCOP28 DubaiCOP28 DubaiCOP28 Dubai

Dal punto di vista di chi fa ricerca come valuta l’impatto di eventi come COP28? C’è qualcosa che l’ha colpita particolarmente e che influirà sul modo in cui parla di questi argomenti con studentesse e studenti?

Durante la COP28 ho avuto occasione di partecipare a diversi eventi con relatori e relatrici molto differenti tra loro, non solo per il ruolo istituzionale e la formazione, ma specialmente per la modalità con cui si approcciavano al tema dei cambiamenti climatici. Un evento che mi ha davvero motivato e in alcuni passaggi anche commosso, è stato quello promosso dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica “Youth-led solutions to the climate crisis”, durante il quale giovani provenienti da tutto il mondo hanno portato idee e soluzioni concrete per agire immediatamente nell’arginare gli effetti dell’emergenza climatica. In quel momento ho realizzato che come docente ho una grande responsabilità nel tenermi aggiornata per trasferire ai miei discenti conoscenze e strumenti per aiutarli ad affrontare le varie sfide che dovranno sempre più affrontare in futuro, ma soprattutto una immensa opportunità per farmi contagiare dal loro entusiasmo e curiosità ampliando le occasioni di dibattito e approfondimento su tematiche di attualità.

 

Come valuta gli accordi sottoscritti a COP28?

Gli accordi finali della COP28 di Dubai da una parte soddisfano e, dall’altra, deludono, essendo frutto di numerosi compromessi. Sicuramente, a livello formale, un punto da sottolineare è l’intesa sul necessario superamento dei combustibili fossili. Considerando il paese in cui si è svolta la COP28 si può definire come un accordo “storico”. Per la prima volta, si riconosce la necessità di riduzioni consistenti delle emissioni di gas a effetto serra, abbandonando i combustibili fossili nei sistemi energetici e accelerando le azioni in modo da raggiungere lo zero netto entro il 2050, in linea con la scienza e un percorso di 1,5 °C siglato negli Accordi di Parigi. Sicuramente è stato dato un segnale forte alle industrie e agli investitori che il tempo sta per scadere per il petrolio, il gas e il carbone. Nel testo viene inoltre chiesto di triplicare la capacità di energia rinnovabile a livello globale e raddoppiare il tasso medio annuo di miglioramento dell’efficienza energetica entro il 2030.

Tuttavia, occorre sottolineare che rispetto alle aspettative di “phasing out” si è arrivati alla formula “transition away” dai combustibili fossili, la quale risulta essere un po’ ambigua e lascia spazio a interpretazioni differenti: non è un caso che tale richiesta sia stata fatta proprio dai paesi produttori di petrolio. Altri elementi divisivi nell’accordo fanno riferimento all’uso del nucleare come via per la transizione energetica, che non piace ai paesi che hanno votato contro il suo utilizzo, e i sistemi per la cattura del carbonio, i quali rischiano di essere percepiti come un modo per giustificare il perpetuarsi delle emissioni. Infine, anche l’assenza dell’approccio differenziato alla transizione energetica, tanto desiderato dai paesi del Sud del mondo, ha suscitato qualche malcontento. Tuttavia, dopo trent’anni di trattative, l’aver finalmente reso operativo proprio alla COP28 il fondo “loss and damage” (fondo per le perdite e i danni) è un altro importante risultato, malgrado l’adesione al fondo sia ancora su base volontaria, ossia ciascun paese può decidere se finanziarlo e con quanti capitali, mentre i paesi in via di sviluppo possono accedervi semplicemente facendone richiesta.

In sintesi, sicuramente le negoziazioni alla COP28, nonostante i limiti, hanno segnato un punto di svolta mettendo nero su bianco la transizione dai combustibili fossili e l’obiettivo di emissioni zero entro il 2050. Ora che una data comune è stata raggiunta, da qui occorre partire per definire una roadmap dove azioni correttive e impegni concreti sul breve siano condivisi e resi vincolanti in tutti i paesi. Di questo si dovranno occupare con coraggio le prossime COP, per garantire il raggiungimento degli obiettivi di neutralità nei tempi attesi.

Fotogallery
COP28 Dubai

COP28 delegati nazioni Foto di gruppo per i governanti presenti a COP28 © Consilium.Europa.EU

Cosa stanno facendo le università per essere protagoniste nella transizione ecologica?

Il sistema universitario, da sempre, attraverso la missione della ricerca contribuisce a trovare soluzioni che possano rendere più sostenibile, sotto tutti i punti di vista, la transizione ecologica. Tale impegno è ancora più marcato grazie ai fondi PNRR che sono stati elargiti per sostenere l’innovazione e lo sviluppo su queste tematiche, oltre a potenziare le sinergie con i territori e il sistema economico produttivo.

Le università sono poi impegnate a rivedere la propria offerta formativa in modo da offrire percorsi che siano più aderenti alle richieste di un mercato del lavoro in profonda evoluzione e un contesto globale sempre più complesso. La nuova proposta di corsi di laurea è caratterizzata da approcci multi-trans-disciplinari per affrontare le varie tematiche in un’ottica olistica, in modo che le nuove generazioni di laureate e laureati sappiano essere resilienti e gestire i cambiamenti che interessano le professioni.

Infine, quella che viene chiamata come la terza missione degli atenei sta assumendo un ruolo sempre più rilevante nel diffondere sulla collettività gli esiti della ricerca scientifica. Credo che su questa dimensione le università possano diventare, ancora di più, protagoniste nel veicolare una cultura della sostenibilità. In particolare possono favorire l’accessibilità alle informazioni sull’urgenza di attuare politiche di adattamento e mitigazione nel contrasto ai cambiamenti climatici. La capacità di operare sempre più in rete del sistema universitario può sicuramente accrescere il livello di impegno civico corale sulle tematiche della sostenibilità e accelerare l’adozione di stili di vita compatibili con un modello di sviluppo sostenibile.

 

Gennaio 2024

    Ultima modifica 22 Gennaio 2024

    Leggi anche